Cosa stavo facendo a quest'ora 10 anni fa? Molto probabilmente dormivo tranquillo nel mio letto ignaro di quello che sarebbe successo di lì a poche ore. Oggi è sabato, il 6 novembre del 1994 era domenica.
I giorni precedenti erano stati un continuo, incessante e stancante piovere. Tutto il giorno, tutta la notte. Talvolta in maniera intensa, talvolta in modo più leggero. Ma l'acqua continuava a venir giù in pianura. E lo stesso succedeva in tutto il basso Piemonte, in montagna, nelle vallate, in collina.
Io avevo da poco iniziato l'università e mi dividevo fra Palazzo Borsalino e l'istituto magistrale, dove la mia ragazza di allora stava facendo l'ultimo anno della maxisperimentazione linguistica. Si stava aprendo una nuova fase della mia vita ma in nessun modo avrei mai potuto immaginare un battesimo peggiore.
Mi ricordo il pomeriggio del 5 novembre. Ero in un paesino a poche decine di chilometri da qui, per la più nefasta delle occasioni: un mio compagno di liceo aveva perso da pochi giorni la madre e assieme ad altre persone presenziavo al funerale. Quello che mi colpì di quel pomeriggio, oltre al lutto e all'atmosfera mesta e rassegnata, fu il viaggio per raggiungere il luogo delle esequie. Imboccammo la tangenziale per uscire dalla città, cercando di stemperare l'evidente tensione con qualche battuta. Seduto sul sedile posteriore dell'auto di Jody, mi ritrovai a guardare fuori dal finestrino il solito panorama che fa da cornice alla striscia di asfalto in quella zona: solo campi coltivati. Dal cielo, l'incessante scroscio dei giorni passati ci stava dando una lieve tregua e, sono quasi convinto (sono passati dieci anni ormai), che dalle nubi grigie e basse spuntasse un rapido raggio di sole. Ma lo spettacolo che quella poca luce mi regalò fu, in qualche modo preoccupante: i riflessi accecanti rivelarono ai miei occhi le masse sterminate d'acqua che avevano quasi completamente ricoperto i campi. Ovunque volgessi il mio sguardo, non vedevo altro che acqua scintillante, quieta, adagiata sulla terra. I canali erano pieni, il terreno era zuppo d'acqua, al punto da non poterne più assorbire neanche una goccia.
Mi ricordo il tardo pomeriggio del 5 novembre. In Piazzetta della Lega, tirava un'aria fredda e tagliente. L'umidità ti entrava nelle ossa. E con la mia ragazza si passeggiava per le vie del centro, fra le luci delle vetrine, a celebrare il giovanile rito della vasca in Corso Roma. Ci lasciammo per la cena, dandoci appuntamento ad un paio di ore dopo per andare a vedere Il Mostro di Benigni, appena uscito nelle sale di Alessandria. La sensazione era che la pioggia fosse finita. Le nubi, che nel buio della sera diventavano arancioni per via delle luci che rischiaravano a giorno il centro della città, avevano tenuto. Ma molto probabilmente si stavano mettendo comode per assistere allo spettacolo.
Mi ricordo la sera del 5 novembre. Sulla città si era abbattutto un violento temporale, l'acqua veniva giù con una forza incredibile e il vento la rendeva invincibile. L'unico modo per non bagnarsi era entrare in una campana di vetro. Non c'erano ombrello o mantella che potessero dare riparo. Con le scarpe zuppe entrammo in sala, prendemmo posto e la serata passò velocemente. Rituale birra dopo il film e poi a casa, per vederci l'indomani. Il 6 novembre era iniziato da pochi minuti, la pioggia non cadeva più. Era tutto quieto. Ma non era il cielo che ci avrebbe dovuto preoccupare.
6 novembre 1994.
Mi alzai con comodo, avvolto nel torpore della domenica mattina. Mio padre e mio fratello erano in campagna per fare alcuni lavori in casa, non ancora pronta per ospitare nessuno. Non ricordo molto bene i dettagli. Ma le parole di mia madre, di ritorno dalla funzione religiosa di metà mattina, non le dimenticherò. "Durante la messa hanno detto che tutti i ponti sono chiusi. In pratica siamo chiusi in città. Ma papà e tuo fratello sono su..devo avvisarli. Chiamerò la vicina". Andai in camera mia per seguire le mie cose quando mia mamma mi chiamò: "Guarda!". Mi indicò il televisore: il piazzale dell'ACI sommerso dall'acqua che continuava a salire, ad invadere qualunque spazio, senza remore, spostando, spaccando, devastando. Erano passate da pochi minuti le 11.
Tanaro aveva sfondato un argine, le arcate del vecchio ponte della ferrovia si erano riempite di detriti di qualunque tipo e avevano fatto da tappo. All'acqua impetuosa e marrone non era più sufficiente l'alveo. Il fiume aveva deciso che era ora di assaggiare un po' dell'umanità che l'aveva circondato per tanti secoli. E si presentò ai nostri piedi, alle nostre case, alle nostre vite nel modo peggiore.
Due ondate di piena, la prima nella mattinata. La seconda nel pomeriggio, alle 17. Una parte di Alessandria e alcuni suoi sobborghi erano stati invasi dall'acqua e dal fango. Di quel pomeriggio ricordo il buio, il freddo e l'umido, l'odore di fango e nafta, le voci delle persone che incredule si avvicinavano al centro per toccare con mano. Fra quelle c'ero anch'io. Corso Roma, Piazzetta della Lega...quei posti dove avevo passeggiato poche ore prima erano pieni d'acqua, avvolti dall'oscurità. Solo il rumore dell'acqua. Spaventoso. Perchè pareva quello di un placido rigagnolo di montagna. In centro città. Lieve, prima di ritirarsi ma dopo aver distrutto con violenza tutto quello che aveva incontrato davanti a sé. E tutt'attorno a quella zona solo acqua, gente dalla finestra, fango, incredulità e lacrime.
E con sé l'acqua portò via la vita a 12 persone: Maria Maddalena Falzoi, Giancarlo Canestri, Alberto Perin, Riccardo Raschio, Alina Spandonaro, Angiolina Faà, Letizia Naboni, Libero Cabella, Wanda Isella, Rosa Gay, Alfredo Bozzi, Carlo Ferrari.
I giorni che seguirono furono di emergenza, rabbia, disperazione ma anche di solidarietà, soccorso, aiuto, comprensione e tanto lavoro. Per rimuovere la spessa coltre di fango, per recuperare le poche cose che si erano salvate, per ricostruire. Ma l'odore terribile di quel giorno durò per parecchio tempo. E ogni tanto, passando da quelle parti, sembra di sentirlo ancora.
Oggi ricordiamo tutto questo. La mia casa non è stata toccata dall'acqua. E come me tante altre persone hanno vissuto da spettatori quel disastro, non esitando però ad immergersi nel fango fino al collo per aiutare chi veramente aveva bisogno di una mano. Sono stati giorni in cui, prima di andare a dormire, ti sentivi fiero di quello che facevi. Perchè era il cuore che ti diceva cosa fare. Eravamo i primi ad arrivare ed eravamo gli ultimi ad andare via, con la sigaretta in bocca, la barba incolta e col fango fin sopra i capelli. L'importante era aiutare. E tutti hanno aiutato tutti.
Questo weekend ci saranno tante celebrazioni, verrano distribuite medaglie e riconoscenze. Ma non vi parteciperò. Osserverò il minuto di silenzio alle 11 e farò in modo che il ricordo di quei giorni non muoia mai.
I giorni precedenti erano stati un continuo, incessante e stancante piovere. Tutto il giorno, tutta la notte. Talvolta in maniera intensa, talvolta in modo più leggero. Ma l'acqua continuava a venir giù in pianura. E lo stesso succedeva in tutto il basso Piemonte, in montagna, nelle vallate, in collina.
Io avevo da poco iniziato l'università e mi dividevo fra Palazzo Borsalino e l'istituto magistrale, dove la mia ragazza di allora stava facendo l'ultimo anno della maxisperimentazione linguistica. Si stava aprendo una nuova fase della mia vita ma in nessun modo avrei mai potuto immaginare un battesimo peggiore.
Mi ricordo il pomeriggio del 5 novembre. Ero in un paesino a poche decine di chilometri da qui, per la più nefasta delle occasioni: un mio compagno di liceo aveva perso da pochi giorni la madre e assieme ad altre persone presenziavo al funerale. Quello che mi colpì di quel pomeriggio, oltre al lutto e all'atmosfera mesta e rassegnata, fu il viaggio per raggiungere il luogo delle esequie. Imboccammo la tangenziale per uscire dalla città, cercando di stemperare l'evidente tensione con qualche battuta. Seduto sul sedile posteriore dell'auto di Jody, mi ritrovai a guardare fuori dal finestrino il solito panorama che fa da cornice alla striscia di asfalto in quella zona: solo campi coltivati. Dal cielo, l'incessante scroscio dei giorni passati ci stava dando una lieve tregua e, sono quasi convinto (sono passati dieci anni ormai), che dalle nubi grigie e basse spuntasse un rapido raggio di sole. Ma lo spettacolo che quella poca luce mi regalò fu, in qualche modo preoccupante: i riflessi accecanti rivelarono ai miei occhi le masse sterminate d'acqua che avevano quasi completamente ricoperto i campi. Ovunque volgessi il mio sguardo, non vedevo altro che acqua scintillante, quieta, adagiata sulla terra. I canali erano pieni, il terreno era zuppo d'acqua, al punto da non poterne più assorbire neanche una goccia.
Mi ricordo il tardo pomeriggio del 5 novembre. In Piazzetta della Lega, tirava un'aria fredda e tagliente. L'umidità ti entrava nelle ossa. E con la mia ragazza si passeggiava per le vie del centro, fra le luci delle vetrine, a celebrare il giovanile rito della vasca in Corso Roma. Ci lasciammo per la cena, dandoci appuntamento ad un paio di ore dopo per andare a vedere Il Mostro di Benigni, appena uscito nelle sale di Alessandria. La sensazione era che la pioggia fosse finita. Le nubi, che nel buio della sera diventavano arancioni per via delle luci che rischiaravano a giorno il centro della città, avevano tenuto. Ma molto probabilmente si stavano mettendo comode per assistere allo spettacolo.
Mi ricordo la sera del 5 novembre. Sulla città si era abbattutto un violento temporale, l'acqua veniva giù con una forza incredibile e il vento la rendeva invincibile. L'unico modo per non bagnarsi era entrare in una campana di vetro. Non c'erano ombrello o mantella che potessero dare riparo. Con le scarpe zuppe entrammo in sala, prendemmo posto e la serata passò velocemente. Rituale birra dopo il film e poi a casa, per vederci l'indomani. Il 6 novembre era iniziato da pochi minuti, la pioggia non cadeva più. Era tutto quieto. Ma non era il cielo che ci avrebbe dovuto preoccupare.
6 novembre 1994.
Mi alzai con comodo, avvolto nel torpore della domenica mattina. Mio padre e mio fratello erano in campagna per fare alcuni lavori in casa, non ancora pronta per ospitare nessuno. Non ricordo molto bene i dettagli. Ma le parole di mia madre, di ritorno dalla funzione religiosa di metà mattina, non le dimenticherò. "Durante la messa hanno detto che tutti i ponti sono chiusi. In pratica siamo chiusi in città. Ma papà e tuo fratello sono su..devo avvisarli. Chiamerò la vicina". Andai in camera mia per seguire le mie cose quando mia mamma mi chiamò: "Guarda!". Mi indicò il televisore: il piazzale dell'ACI sommerso dall'acqua che continuava a salire, ad invadere qualunque spazio, senza remore, spostando, spaccando, devastando. Erano passate da pochi minuti le 11.
Tanaro aveva sfondato un argine, le arcate del vecchio ponte della ferrovia si erano riempite di detriti di qualunque tipo e avevano fatto da tappo. All'acqua impetuosa e marrone non era più sufficiente l'alveo. Il fiume aveva deciso che era ora di assaggiare un po' dell'umanità che l'aveva circondato per tanti secoli. E si presentò ai nostri piedi, alle nostre case, alle nostre vite nel modo peggiore.
Due ondate di piena, la prima nella mattinata. La seconda nel pomeriggio, alle 17. Una parte di Alessandria e alcuni suoi sobborghi erano stati invasi dall'acqua e dal fango. Di quel pomeriggio ricordo il buio, il freddo e l'umido, l'odore di fango e nafta, le voci delle persone che incredule si avvicinavano al centro per toccare con mano. Fra quelle c'ero anch'io. Corso Roma, Piazzetta della Lega...quei posti dove avevo passeggiato poche ore prima erano pieni d'acqua, avvolti dall'oscurità. Solo il rumore dell'acqua. Spaventoso. Perchè pareva quello di un placido rigagnolo di montagna. In centro città. Lieve, prima di ritirarsi ma dopo aver distrutto con violenza tutto quello che aveva incontrato davanti a sé. E tutt'attorno a quella zona solo acqua, gente dalla finestra, fango, incredulità e lacrime.
E con sé l'acqua portò via la vita a 12 persone: Maria Maddalena Falzoi, Giancarlo Canestri, Alberto Perin, Riccardo Raschio, Alina Spandonaro, Angiolina Faà, Letizia Naboni, Libero Cabella, Wanda Isella, Rosa Gay, Alfredo Bozzi, Carlo Ferrari.
I giorni che seguirono furono di emergenza, rabbia, disperazione ma anche di solidarietà, soccorso, aiuto, comprensione e tanto lavoro. Per rimuovere la spessa coltre di fango, per recuperare le poche cose che si erano salvate, per ricostruire. Ma l'odore terribile di quel giorno durò per parecchio tempo. E ogni tanto, passando da quelle parti, sembra di sentirlo ancora.
Oggi ricordiamo tutto questo. La mia casa non è stata toccata dall'acqua. E come me tante altre persone hanno vissuto da spettatori quel disastro, non esitando però ad immergersi nel fango fino al collo per aiutare chi veramente aveva bisogno di una mano. Sono stati giorni in cui, prima di andare a dormire, ti sentivi fiero di quello che facevi. Perchè era il cuore che ti diceva cosa fare. Eravamo i primi ad arrivare ed eravamo gli ultimi ad andare via, con la sigaretta in bocca, la barba incolta e col fango fin sopra i capelli. L'importante era aiutare. E tutti hanno aiutato tutti.
Questo weekend ci saranno tante celebrazioni, verrano distribuite medaglie e riconoscenze. Ma non vi parteciperò. Osserverò il minuto di silenzio alle 11 e farò in modo che il ricordo di quei giorni non muoia mai.
0 Comments:
Posta un commento
<< Home